Tra le pendici della Maiella, in Abruzzo, sorge un borgo sospeso tra cielo e pietra: Guardiagrele. Un luogo dove l’eco del Medioevo riecheggia tra vicoli ciottolati, torri e chiese ornate in pietra bianca. Non a caso Gabriele d’Annunzio, nel Trionfo della morte, la definì la “città di pietra”.
Ogni pietra, ogni balcone, ogni architettura ti trasporterà indietro nel tempo. Tra antiche botteghe d’arte, dove vengono custodite e preservate con orgoglio e amore antiche tradizioni, potrai scoprire anche sapori autentici di prodotti tipici come le rinomate “Sise delle Monache”.
Guardiagrele è un piccolo borgo ma merita di esser scoperto con calma, curiosando in ogni angolo e nei piccoli musei di tradizioni locali che custodisce. In questo modo potrai fermarti a parlare con i gentilissimi volontari che ti condurranno in un viaggio nel tempo e nella storia svelandoti quegli aneddoti che solo chi vive in un luogo può raccontarti.
Un po’ di storia di Guardiagrele

Il nome di Guardiagrele ha radici antiche: deriva dall’etnico marrucino ocrilis, che significa “altura”, unito a “guardia”, parola di origine germanica (warda o warte), con cui si indicava un posto di osservazione o una torre di vedetta. Fin dalle origini, quindi, il borgo era percepito come luogo di controllo e difesa, incastonato in una posizione strategica alle pendici della Maiella.
Nel 1495 la città passò sotto il dominio di Pardo Orsini, entrando a far parte dei suoi possedimenti feudali. Nei secoli successivi, però, Guardiagrele fu segnata da eventi drammatici che ne frenarono la crescita. Due violente epidemie di peste, nel 1566 e nel 1656, le carestie e soprattutto il devastante terremoto della Maiella del 1706 provocarono un lungo periodo di crisi economica, calo demografico e perdita di centralità culturale.
La situazione si aggravò nel 1799, quando il borgo venne assediato e saccheggiato dalle truppe francesi guidate dal generale Coutard. Dopo l’Unità d’Italia, le trasformazioni del sistema agricolo accesero ulteriori tensioni sociali, dando origine al fenomeno del brigantaggio. In quello stesso periodo molti abitanti, spinti dalla povertà e dalla mancanza di prospettive, intrapresero la via dell’emigrazione soprattutto in America e in Australia.
Il Novecento portò altre dure prove: nell’ottobre 1943, durante l’occupazione tedesca, la popolazione fu costretta a scappare. Ma già a partire dagli anni Cinquanta si assistette a una fase di rinascita.
La ripresa economica fu trainata dall’artigianato artistico, dalle piccole imprese locali e dalla voglia di ricostruire: un’energia nuova che restituì a Guardiagrele vitalità, lavoro e speranza, consolidando quell’identità che oggi la rende uno dei borghi più vivi e affascinanti dell’Abruzzo.
Cosa vedere a Guardiagrele

Le mura e le torri medievali
Il centro storico di Guardiagrele è ancora oggi abbracciato da ciò che resta delle sue antiche mura, che nel XIII secolo unirono due “guasti” franco-longobardi di Guardia e Graeli.
Tra le imponenti torri che un tempo proteggevano il borgo oggi sono rimaste:
- Porta San Giovanni (conosciuta anche come Torre Adriana), imponente e cilindrica,
- Torre Stella, sua “gemella”, veglia silenziosa su via Occidentale.
La terrazza panoramica di Via Orientale: “la terrazza d’Abruzzo”

Noi inizieremo il nostro tour di Guardiagrele dalla terrazza panoramica di Via Orientale, dove si trova un comodo parcheggio con ascensore. Da qui avrai un incredibile benvenuto dallo splendido panorama che spazia dalle colline abruzzesi fino al mare in lontananza.
Nel 2004, in questa terrazza, è stata collocata una statua in ferro battuto dedicata al poeta Modesto della Porta, scomparso nel 1938 a soli 53 anni. L’opera lo ritrae con la sua inseparabile sigaretta, mentre osserva con sguardo vigile la quotidianità del borgo, dando le spalle al panorama, come se non volesse esser distratto dal paesaggio.
Il Palazzo Vitacolonna e la Collegiata di Santa Maria Maggiore
Addentrandosi tra i vicoli del borgo, dopo pochi passi raggiungerai Piazza Santa Maria Maggiore su cui si affacciano il Palazzo Vitacolonna e il Duomo di Guardiagrele.
Il Palazzo Vitacolonna risale al XVIII secolo ed è stato costruito secondo lo stile rinascimentale. Al suo interno, nella volta di una delle sale del piano nobile, custodisce l’affresco Leda e il cigno, realizzato nel XIX secolo, dall’artista locale Francesco Maria De Benedictis.

La Collegiata di Santa Maria Maggiore, conosciuta come il Duomo di Guardiagrele, sorge laddove un tempo si ergeva un tempio pagano. La sua facciata, imponente e solenne, cattura lo sguardo con il raffinato portale ogivale tipico del gotico abruzzese, mentre l’orologio e l’insolita torre campanaria che svetta dal tetto regalano all’edificio un profilo unico e immediatamente riconoscibile.
Affascinante è anche il portico settentrionale, rivolto verso palazzo Vitacolonna e coperto da un soffitto con volte a crociera. Al suo interno custodisce un’edicola rinascimentale con l’affresco quattrocentesco della Madonna del Latte.

L’interno è formato da un’unica navata ed è stato recentemente ricostruito ma conserva alcune opere importanti quali:
- la Deposizione, del pittore ferrarese Giuseppe Lamberti risalente al XVII secolo,
- il pulpito in legno di noce dove sono rappresentate scene della Vita di Gesù,
- un paliotto medievale sovrastato da una tela di fine Cinquecento che rappresenta l’Assunzione di Maria,
- la Crocifissione di Francesco Maria De Benedictis, le Anime purganti di Nicola Ranieri e quattro episodi della Vita di Cristo, nella sagrestia.
La Chiesa di San Rocco
Intitolata inizialmente a Santa Maria del Riparo, la chiesa che recentemente è stata intitolata a San Rocco fa parte della collegiata di Santa Maria.
E’ strutturata in tre navate, divise da cinque arcate a tutto sesto e impreziosite da decorazioni in stucco policromo di stile barocco.
La Chiesa di San Rocco conserva:
- un confessionale e un pulpito a cipolla in legno, attribuiti all’ebanista orsognese Modesto Salvini,
- alcuni dipinti di Nicola Ranieri,
- l’immagine del Redentore e della Veronica di Cristo che sembra risalire alla prima metà del ‘400.
Cosa vedere in Largo San Francesco: la Chiesa, il Municipio e i musei di Guardiagrele

Dal Duomo, in pochi passi arriverai in Largo San Francesco, una graziosa piazzetta dove si affacciano quasi tutte le altre attrazioni di Guardiagrele. Non temere di affacciarti ai vari portoni perché solo così potrai scoprire la vera anima del borgo e dell’Abruzzo.
La Chiesa di San Francesco d’Assisi
Iniziamo dalla Chiesa di San Francesco che affonda le sue radici nel 1276, quando venne edificata come parte di un complesso conventuale che oggi accoglie il Municipio. Dal 1902 è riconosciuta come monumento nazionale.



La facciata conserva ancora l’aspetto sobrio e trecentesco delle origini, mentre l’interno sorprende con il fasto barocco, che fa da cornice alle opere del Seicento. Qui sono custodite anche le reliquie di San Nicola Greco, che ogni venticinque anni vengono portate in processione per le vie del borgo in una cerimonia solenne.
Di particolare pregio il coro ligneo con dodici stalli scolpiti: gli schienali decorati con motivi geometrici si intrecciano a tralci vegetali, culminando in teste scolpite, busti di Sibille e nella statua di Re David.
Il Museo del Costume e della Tradizione della Nostra Gente

Nei locali a piano terra del chiostro di San Francesco, adiacente all’omonima chiesa, non perderti il Museo del Costume e della Tradizione della Nostra Gente. Un progetto meraviglioso nato grazie al volontariato che fa capire quanto l’Abruzzo voglia preservare e tramandare con orgoglio le tradizioni che lo hanno reso la splendida regione che è oggi.
Tra volte antiche, nel museo sono stati riprodotti tutti gli ambienti della quotidianità domestica ed artigiana attraverso gli utensili autentici dell’800, spesso donati dagli stessi abitanti del borgo.
Dalle cucine fumose, con focolari, paioli e stoviglie, alle camere da letto, dove sono esposti corredi ricamati a mano, culle di legno e abiti caratteristici. Si passa poi alle botteghe artigiane, che riportano in vita antichi mestieri: il telaio del tessitore, gli arnesi del fabbro, gli strumenti dei pastori (sai come difendevano i cani dal lupo?), fino agli attrezzi del calzolaio e del bottaio.



Alcuni oggetti richiamano usi diffusi in tutta Italia nel secolo scorso, come ferri da stiro a carbone o vecchi aratri manuali, ma altri testimoniano tradizioni esclusivamente locali, legate al mondo rurale e montano della Maiella.
Per scoprirli e immergerti a pieno in questo viaggio nel tempo puoi partecipare a una visita guidata, che, con un piccolo supplemento di 1 euro rispetto al biglietto d’ingresso (3 euro), offre spiegazioni e curiosità che rendono l’esperienza ancora più viva e coinvolgente.
Il Museo Archeologico “Filippo Ferrari”

Sulla Piazza si nasconde anche l’ingresso al Museo Archeologico “Filippo Ferrari”, nato nel 1999 e oggi ampliato a sei sale espositive. Custodisce i reperti provenienti dalla necropoli di Comino, scoperti agli inizi del ’900 da don Filippo Ferrari e quelli riportati alla luce tra il 1998 e il 2005.
Il percorso illustra circa mille anni di storia, dall’età protostorica al periodo ellenistico attraverso:
- Corredi funerari maschili, femminili e infantili del IX secolo a.C., con armi, vasi biconici e splendidi ornamenti,
- La ricostruzione a grandezza naturale della celebre Tomba 38, del “Guerriero di Comino”, visibile sotto il pavimento di una sala,
- Una copia della famosa Stele di Guardiagrele (VII sec. a.C.), raffigurante un guerriero,
- Gioielli raffinati, fibule, pendagli e manufatti che raccontano il ruolo sociale degli individui sepolti,
- Ceramiche di età arcaica ed ellenistica, influenzate dalla Magna Grecia,
- Corredi particolarmente ricchi come quello della Tomba 22, appartenente a un guerriero del IV secolo a.C., con armi, vasellame e un cinturone in bronzo.
Questo museo è un vero viaggio nell’antichità dei Marrucini, che permette di conoscere usi e costumi di una comunità vissuta ai piedi della Maiella quasi tremila anni fa.
A rendere ancora più speciale la visita è la passione con cui viene custodito. La gestione è infatti affidata all’Archeoclub di Guardiagrele, i cui volontari garantiscono l’apertura, l’assistenza ai visitatori e, su richiesta, anche visite guidate. Un impegno portato avanti gratuitamente, che testimonia quanto la comunità locale tenga a valorizzare e condividere la propria storia millenaria con chi arriva in città. Non si tratta solo di un museo, ma di un vero gesto d’accoglienza che riflette l’orgoglio e l’attaccamento dei guardiesi alle proprie radici.
La Chiesa di Santa Chiara
Tra i numerosi edifici sacri di Guardiagrele, merita una menzione speciale la Chiesa di Santa Chiara, unica testimonianza rimasta dell’antico complesso conventuale delle Clarisse.
Nel corso dei secoli ha conosciuto diversi restauri e trasformazioni, ma ancora oggi la sua facciata semplice e sobria cela la ricchezza dell’interno, impreziosito da eleganti stucchi settecenteschi.
Le pareti custodiscono preziose tele realizzate tra il XVIII e il XIX secolo, come una Natività di Nicola Ranieri e una Pietà firmata da Donato Teodoro, lo stesso artista che dipinse anche la grande volta con la suggestiva scena della Caduta degli Angeli Ribelli, che da sola vale una visita alla chiesa.
La Chiesa di San Nicola di Bari
La Chiesa di San Nicola di Bari è la più antica di Guardiagrele e conserva ancora tracce della sua origine medievale, visibili soprattutto nel massiccio campanile quadrato.
L’edificio, costruito in muratura con pietrame irregolare e facciata intonacata, si distingue per i due portali cinquecenteschi, mentre all’interno mostra l’aspetto assunto nel XVIII secolo. Particolarmente scenografico è l’altare maggiore, con due coppie di colonne corinzie che sorreggono un elegante timpano semicircolare ornato da angeli e putti.
Le Sise delle Monache: simbolo goloso di Guardiagrele

Per caso, anche tu come me, stai cercando info su cosa vedere a Guardiagrele perché il motivo principale che ti spinge ad andarci sono le Sise delle Monache?
Ebbene sì, lo ammetto, io sono andata principalmente per assaggiarle anche se poi le mie aspettative si sono ribaltate! Ho adorato il borgo ma un po’ meno le Sise.
Prima di dirti il perché ti racconto qualcosa in più sulle Sise delle Monache!
Perché si chiamano Sise delle Monache?
Dietro il nome singolare e un po’ malizioso di questo dolce tipico di Guardiagrele, si nascondono tante storie diverse.
Una delle leggende più diffuse racconta che le monache, per nascondere le forme del corpo sotto il loro abito, infilassero un pezzo di stoffa tra i seni così da far sembrare il petto una “tavola” senza protuberanze.
Secondo un’altra teoria, le tre cupole del dolce richiamerebbero le tre vette della Maiella motivo per cui le Sise sono note anche come Tre Monti . Ma c’è anche chi le paragona ai tre grandi massicci abruzzesi: Gran Sasso, Maiella e Sirente-Velino.


Infine, lo scrittore e sindaco Mario Palmerio sosteneva che la spiegazione fosse molto più semplice: furono proprio le clarisse del convento di Santa Chiara a inventare la ricetta, senza alcun intento malizioso, forse in onore di Sant’Agata, patrona delle donne, martirizzata proprio con il taglio del seno.
Dove mangiare le Sise delle Monache a Guardiagrele
Oggi le Sise delle Monache sono riconosciute come prodotto agroalimentare tradizionale (PAT) e si possono gustare solo in due storiche pasticcerie, entrambe su via Roma.
Puoi scegliere tra la Pasticceria Palmerio, fondata da Giuseppe Palmerio alla fine dell’Ottocento, e la Pasticceria Lullo, nata dal ramo di famiglia di Filippo Benigno Palmerio e passata poi a Emo Lullo, i cui discendenti portano avanti ancora oggi l’eredità.
Non sarà difficile riconoscerle da lontano, non solo per il profumo inebriante che si diffonde ovunque, ma anche per le scie di zucchero vanigliato sulla pavimentazione.
Curiosità sulle Sise e… il mio primo, tanto atteso assaggio
Entrando in pasticceria ti accorgerai subito di un dettaglio curioso: sul bancone non manca mai una piccola spazzola di legno. Ti stai chiedendo a cosa serva? Semplice: è l’alleata indispensabile delle Sise delle Monache! Perché quello strato generoso (anzi, infinito) di zucchero a velo non perdona nessuno: finirà inevitabilmente sui vestiti e in terra.
Il dolce, in sé, è scenografico ma semplice: un pan di Spagna soffice, farcito con crema pasticciera e abbondantemente ricoperto di zucchero a velo. Devo però ammettere che, personalmente, l’ho trovato meno soffice di quanto mi aspettassi e totalmente senza sapore.
Nonostante ciò, l’esperienza di uscire imbiancata di zucchero ha addolcito un po’ la mia delusione, soprattutto perché, secondo la tradizione, se ti sporchi anche il naso di zucchero porta fortuna.
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